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Saggio sulla depressioneUn saggio per esplorare le "terre della depressione"

La depressione nell’ultimo cinquantennio è stata terra di conquista da parte delle case farmaceutiche che ricorrendo al poco conosciuto disease mongering, hanno creato, a tavolino, nuove patologie e soprattutto nuovi bisogni per plasmare una categoria sempre più ampia di clienti, non certamente di pazienti. È sconcertante come  numerosi psichiatri e ricercatori hanno colluso, spesso in maniera consapevole, con questa dinamica di mercato che nulla ha a che fare con la scienza.

L’autore ha sentito la necessità, ripercorrendo un lungo viaggio nella storia, nell’antropologia culturale, nelle neuroscienze, nella clinica, nella letteratura e nell’arte, di riportare alla luce le vere caratteristiche della depressione e le sue possibili cause. Convinto che solo una comprensione approfondita, priva di ideologie e di pregiudizi, possa fornire una valida risposta a quella che è stata definita come “la malattia del secolo”.

Quindi, senza farsi incantare dalle sirene del marketing, dalle riviste patinate di psichiatria o dai megacongressi, il lettore potrà esplorare “le terre della depressione”, consapevole che Scilla e Cariddi lo attendono al varco. Il biologismo riduttivo da una parte, lo psicologismo eclettico e accattivante dall’altra. Pertanto l’esposizione sarà saldamente ancorata alla linea mediana della clinica e terrà costantemente presente l’importanza dei fattori culturali e la loro evoluzione nel corso del tempo:dati fondamentali per differenziare nettamente il “mal di vivere” – tipica e strutturale modalità dell’uomo - dalla depressione come evento clinico.

In questa ottica, il volume "Dal mal di vivere alla dpressione" si propone come un saggio di “psicodinamica culturale” sulla depressione. 

 

Nicola Lalli, deceduto recentemente (il 19 marzo 2009), è stato titolare di Clinica Psichiatrica e Psicoterapia, già Primario presso l’Università “La Sapienza” di Roma,è autore di oltre 150 lavori, molti dei quali presentati a congressi nazionali e internazionali,e di numerosi volumi frutto dell’attività clinica e di ricerca iniziata alla fine degli anni ’60.

Tale attività di ricerca è stata esposta in vari volumi tra i quali si segnalano Il primo colloquio psichiatrico (1980), Le psiconevrosi: fenomenologia e psicodinamica (1988), Manuale di Psichiatra e Psicoterapia (1989), L’altra faccia della luna. I misteri del sonno e del sogno (1994), Lo spazio della mente: saggi di psicosomatica (1998), Elementi di psicoterapia dinamica (2006). Tra questi si evidenzia il Manuale di Psichiatria e Psicoterapia, soprattutto la seconda edizione ampliata del 1999 che ripropone concretamente la possibilità di un raccordo tra Psichiatria e Psicoterapia e tra Medicina e Psicologia. Tale integrazione è stata possibile con l’ausilio di un  modello psicodinamico sviluppato ed ampliato dall’autore nel corso del tempo. Il presente volume costituisce un ulteriore approfondimento di tale modello che, nel sottolineare l’importanza dei fattori culturali, rende più articolata la comprensione della complessa galassia “depressione”.

 

saggio nicola lalli

 

L'intervista

 

Domanda: Quali motivazioni e quali scopi l’hanno indotta a scrivere questo libro?

Risposta: Credo che il motivo più importante sia lo sdegno provato nei confronti di una deleteria e volontaria disinformazione proposta dalle case farmaceutiche al solo scopo di vendere il maggior numero di antidepressivi possibile, senza tener conto dell’utilità o dei danni secondari arrecati. Attualmente si ritiene che in Italia – e sono stime abbastanza attendibili- ci siano circa 5 milioni di depressi e quasi tutti questi sono consumatori di psicofarmaci per mesi o per anni, contribuendo ad una spesa sanitaria che è pari all’1% del PIL nazionale. Qualche tempo fa uno studio (??) di una società privata, purtroppo sostenuta da società cosiddette scientifiche – come la SIP (società italiana di psichiatria) o la SFI (società di farmacologia) e la società dei medici ambulatoriali e di base- hanno previsto che nei prossimi anni ci sarà un aumento dei casi di depressione fino a coprire circa il 25% della popolazione nazionale. Questo vuol dire semplicemente che se tale stima fosse accettata, la popolazione di persone sottoposta a terapie farmacologiche antidepressive salirebbe a circa  15 milioni di italiani. Tutto questo è assolutamente falso anche se avallato, come dicevo anche da società scientifiche che sono ovviamente sovvenzionate dalle case farmaceutiche e dalla bramosia delle case farmaceutiche stesse di vendere un numero sempre maggiore di antidepressivi. E purtroppo, per quanto si tratti del campo della salute, sembra che ogni scorrettezza sia valida ed ammissibile. Un recente studio pubblicato da I. Kirsh, ripreso dai mass media ma senza ulteriori informazioni, riporta come si comportano scorrettamente le case farmaceutiche. Revisionando tutti gli studi fatti per provare la terapeuticità dei farmaci, l’Autore ha evidenziato che tutti quegli studi ove l’effetto terapeutico era minore del placebo venivano occultati falsificando così le statistiche. Ma questo non basta, perché l’Autore ha evidenziato anche che l’efficacia terapeutica dei vari antidepressivi immessi sul mercato era di poco superiore all’effetto placebo. Ovviamente le case farmaceutiche fanno i loro interessi e in una economia di mercato l’unica logica accettabile sembra essere quella del profitto anche se in questo caso, trattandosi di salute e di costi della sanità (che sappiamo sono tutti elevatissimi), sarebbe necessaria una regolamentazione più accurata. Un altro dato molto significativo, è che le case farmaceutiche impiegano oltre il 30% del loro fatturato per fare marketing anziché fare ricerca. Questo impegno economico fornisce alle case farmaceutiche la possibilità di comprare riviste scientifiche, di sovvenzionare i relatori dei vari congressi e coloro che compilano le linee guida per la salute. Ma non solo loro, anche tutta un’ampia classe medica di specialisti psichiatri e non che viene convinta a somministrare psicofarmaci attraverso i cosiddetti congressi scientifici che non sono altro che “una gita fuori porta” però di lusso. Tutto questo crea un’alterazione complessiva del problema depressione, che se non viene conosciuta dal pubblico non permette a questi di rendersi autonomi e liberi di scegliere o di rifiutare le proposte dei medici di curare numerosi malesseri con dei farmaci antidepressivi. Quindi è evidente la necessità di dare una corretta informazione al pubblico perché solo attraverso di essa si può ridare al paziente/cliente la possibilità di decidere sull’utilità o meno della terapia psicofarmacologica.

Domanda: E lei crede che tutto questo possa modificarsi?

Risposta: Non sono così ingenuo da ritenere che una denuncia del genere, a meno che non venga ripresa e sottolineata dai mass media in maniera insistente, possa mettere in crisi la più forte e più ricca industria del mondo: quella farmaceutica. Sono convinto invece che un’informazione corretta e chiara possa aiutare i cittadini a rifiutare la sudditanza al marketing delle case farmaceutiche. Per questo ritengo che sia necessario non solo chiarire tutti i meccanismi perversi che sono a monte dell’aumento indiscriminato di pazienti depressi e delle conseguenti terapie farmacologiche.

Domanda: Quali sono le ulteriori informazioni necessarie per dare al pubblico una corretta possibilità di scelta e di valutazione?

Risposta: Sicuramente proporre una netta distinzione tra quello che è un normale ed accettabile mal di vivere, da una depressione che è invece espressione di malattia. Non a caso ho proposto come titolo del libro appunto Dal mal di vivere alla depressione. La depressione è in realtà un malessere antico quanto l’uomo e che è sempre stata presente nella sua storia, anche se denominata in maniera diversa come melanconia, tedium vitae, spleen, nostalgia. Perché essa è legata a radicali e basilare problematiche dell’uomo come l’angoscia della perdita e dell’abbandono, la consapevolezza della morte, l’insicurezza del futuro, il senso di colpa. Ognuno di noi, nell’arco del suo ciclo vitale può presentare, e per vari motivi, una manifestazione di malessere che può evidenziare alcuni tratti depressivi, senza per questo essere una malattia. Quindi non è necessario medicalizzare il soggetto somministrandogli psicofarmaci. Tenendo conto che un’impropria ed inopportuna somministrazione può creare delle patologie iatrogene. A questo punto è evidente la necessità di fornire tutta una serie di parametri per poter porre delle corrette diagnosi differenziali: ed è un argomento su cui insisto ampiamente nel libro, nel tentativo di distinguere quelle forme depressive ove l’uso dello psicofarmaco può essere utile e corretto e quelle forme in cui è assolutamente non necessario e pericoloso. Sottolinea a questo proposito anche la necessità di una diagnostica medica che sappia distinguere un ipotiroideo o una demenza iniziale da uno stato depressivo: e posso permettermi questa riflessione perché numerose volte ho dovuto correggere diagnosi sbagliate ove l’uso dell’antidepressivo non solo era inutile, ma pericoloso. Si pensi che alcune forme di ipotiroidismo possono mostrare un quadro che spesso viene scambiato per depressivo. E’ ovvio che in questi casi una terapia farmacologica ma di tutt’altro tipo (tiroxina) può dare risultati molto più brillanti. Mi sono soffermato a lungo a descrivere la depressione esistenziale che secondo me rappresenta il quadro clinico più frequente di quello che io chiamo mal di vivere e che non ha assolutamente bisogno di alcun intervento farmacologico. Mi sono soffermato a lungo anche nel descrivere l’importanza dei fattori culturali come causa dei fenomeni depressivi.  

Domanda: Ma se i farmaci antidepressivi non sono necessari o utili, cosa si può fare per questa patologia così complessa?

Risposta: Sicuramente è molto più valido un intervento psicologico che può andare da un semplice counseling ad una vera e propria psicoterapia. Ovviamente anche le psicoterapie hanno una loro specificità e pertanto mi sono dilungato a descrivere le varie forme di psicoterapia e le loro indicazioni o controindicazioni. Inoltre propongo che in alcuni casi possa essere utile la cosiddetta terapia integrata: ovvero una terapia psicofarmacologica all’interno di un rapporto psicoterapeutico. In quest’ultimo caso si tratta di situazioni più complesse e gravi. Mi sono soffermato inoltre a delineare le problematiche connesse al rischio suicidario che può essere presente soprattutto nei pazienti gravi e nella necessità di poter fare una prognosi e soprattutto una prevenzione. Mi sono dilungato infine sull’importanza dell’arte come antidoto al mal di vivere e alla depressione, facendo mio un vecchio adagio: “l’unica cosa che ci può aiutare è la bellezza”.

P.S. Per ulteriori approfondimenti consultare il sito: http://www.nicolalalli.it/

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