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Obesità psicogenaQuando la fame è un fatto di testa

Per obesità psicogena si intende una sindrome nella quale l’aumento di peso è determinato da un ricorso compulsivo al cibo e che sottende un carattere depressivo differente dal depresso classico, in quanto si presenta più a livello comportamentale che psichico. Per questi soggetti il cibo assolve la funzione di un oggetto sostitutivo che dovrebbe renderli autonomi rispetto alle relazioni con gli altri; ma proprio la delusione li spinge a ricorrervi sempre più spesso con una dinamica di bramosia che può spostarsi anche su altre sostanze costituendo una tendenza tossicofilica di base.

Caratterialmente si tratta di soggetti fragili che non sopportano le frustrazioni ,sono incapaci di reggere uno scontro ,non sanno dire di no.Hanno il timore di non essere accettati-amati dagli altri e per tale motivo sono disposti ad “ingoiare “ LETTERALMENTE TUTTO, la loro bramosia molto intensa può spostarsi anche su altri oggetti diversi dal cibo costituendo una tendenza tossicofilica di base.Altra peculiarità è la difficoltà a diffenziare gli stimoli interni ed a riconoscere la differenza tra fame e voracità. laddove la prima è una sensazione che parte dallo stomaco vuoto e si placa con l’arrivo di cibo,mentre la seconda parte dalla bocca ed è un bisogno di masticare e ingurgitare che non si estingue facilmente spingendo ad eccessi bulimici. La famiglia di questi soggetti secondo le ricerche di Hilde Bruch è composta da un padre sotto-tono e da una madre aggressiva che non consente al figlio di rendersi autonomo. Spesso le esigenze del bambino sono fraintese e la risposta ai diversi bisogni è l’univoca offerta di cibo. Il mangiare diventa col tempo la soluzione di ogni problema e al cibo viene anche attribuito il significato magico di forza cosicché questi soggetti spesso durante la dieta cadono in ansia vivendo il ridotto apporto alimentare come pericoloso per la loro salute.

La terapia: di fronte ad un paziente obeso che ha deciso di dimagrire è necessario porsi due domande: perché è ingrassato, perché vuole dimagrire?

La prima domanda serve per capire il suo rapporto con il cibo: mangiare non è un comportamento neutro poiché fin dai primi vagiti il bambino riceve, insieme al latte ,dalla madre calore,odore,carezze,sguardi il cibo oltre a soddisfare la fame biologica diventa fonte di godimento. Più tardi in un normale sviluppo la fame di stimoli troverà altri modi di soddisfarsi e il cibo sazierà la sola fame biologica. Per molti obesi non è così ed è questo legame che bisogna spezzare. I motivi che spingono ad intraprendere una dieta sono complessi; le risposte più comuni quella estetica e quella salutistica sono spesso delle coperture razionali. A volte il dimagrimento viene investito di fantasticherie onnipotenti, è un tentativo di mettere ordine nella propria vita,oppure di dare risposta alle pressioni sociali;infine in certi casi è un partner manipolativo ad obbligare alla dieta impedendogli poi di arrivare al traguardo. Qualunque sia la motivazione un bisogno accomuna però tutti coloro che intraprendono una dieta conoscere il proprio peso ideale e raggiungerlo subito. Il peso ideale è un artefatto e rapportarsi con esso è semplicemente frustrante; compito di ogni terapeuta è capire il peso giusto nel range delle loro possibilità sulla base della costituzione, dell’età, ponendo traguardi raggiungibili da spostare più in basso ove necessario. I mezzi per ottenere il dimagrimento sono due quello tecnico e quello psicologico. La struttura di personalità dell’obeso si può riassumere in una bassa autostima e bisogno di un oggetto esterno rassicurante ne consegue che o si riesce a cambiare la sua personalità(tempi forse eterni) o s i supporta nel corso del cammino verso il “suo” peso desiderabile. In pratica il medico si sostituisce al cibo in qualità di oggetto rassicurante,sostiene il paziente di fronte ai temporanei fallimenti nella dieta,rinforza positivamente l’immagine di sé, riconoscendo i suoi sforzi e i suoi successi.Si crea in fondo un rapporto di dipendenza obeso-medico,anziché obeso-cibo e la capacità di seguire la dieta è connessa spesso alla paura del giudizio del terapeuta o al timore di dispiacergli. Una sorta di transfert positivo che permette al paziente di resistere meglio alle sollecitazioni ambientali. Il problema, come in ogni rapporto di dipendenza, è il momento della separazione che potrebbe significare il ritorno alla iperalimentazione e all’obesità;per tale motivo l’interruzione del rapporto deve essere molto graduale ed elastica mantenendo un contatto con il paziente per tempi molto lunghi.

L’obesità, soprattutto quella psicogena, è una malattia cronica e può necessitare di un trattamento altrettanto cronico. Per facilitare il controllo del peso a lungo termine possono essere usate tecniche atte a modificare il comportamento alimentare e favorire l’autocontrollo che mirano a rendere l’obeso capace di riconoscere le circostanze e le situazioni emotive determinanti il bisogno di mangiare e di interrompere il legame tra gli stimoli ambientali e la compulsione al cibo,rendendolo capace di controllo. La dieta, pur se indispensabile, assume soprattutto il significato di un legame preciso tra paziente e terapeuta che serve da rinforzo per questi soggetti più fragili degli altri rispetto alle sollecitazioni ambientali; essa deve essere personale perché ciò significa interesse nei suoi confronti, e perché sia adeguata ai suoi ritmi biologici e deve essere precisa nei dettagli per non lasciare spazi ad errori più o meno consapevoli. Somministrare al paziente una dieta prestampata ha la stessa efficacia di un oroscopo.

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